Mica si chiude, la diatriba tra Salvini e gli M5S sui termovalorizzatori. D’altronde era facile prevederlo, perché si tratta di una contrapposizione che non si esaurisce nella questione specifica e che discende invece da differenze “genetiche” insormontabili.
Detto in estrema sintesi: la Lega è per il modello attuale ma senza le ruberie dei politici e certe imposizioni della finanza internazionale; il M5S aspira, o sembra aspirare, a un modello meno condizionato dall’economia liberista e dalle sue smanie di profitto. E di consumo.
Di fronte al caso di giornata, Salvini fa orecchie da mercante e finge di non capire dove stia il cuore del dissidio. “Oggi – puntualizza – c’è un sistema di termovalorizzatori sicuri. Con Di Maio troveremo un’intesa per il bene del Paese”. Peccato, per lui, che l’obiezione dei pentastellati non sia (solo) di natura tecnica. Non è che loro non siano informati correttamente e che quindi bastino le rassicurazioni del leader leghista a farli retrocedere. Salvini prova a ridurre tutto a una specie di equivoco, confidando che per rimuovere l’ostacolo sia sufficiente sdoppiare il ragionamento: un conto è quello che va fatto subito e un altro è ciò cui bisogna mirare per l’avvenire.
“È chiaro che in prospettiva bisogna differenziare, però i termovalorizzatori di oggi non sono quelli di tanti anni fa. Le esperienze sia italiane che europee ci dicono che su tanti di questi termovalorizzatori i bambini ci vanno a giocare, ci sono parchi giochi, piste da sci, musei, mostre: la tecnologia e i controlli hanno fatto sparire i dubbi del passato. Chiaro che l’obiettivo è bruciare sempre meno, andare meno in discarica e differenziare sempre di più. Intanto, siccome siamo al governo per risolvere i problemi e a Napoli e in Campania pagano la tassa rifiuti come in tutta Italia, è giusto dare a loro le stesse possibilità, che hanno tutte le altre regioni italiane”.
È chiaro questo, è chiaro quello…
Salvini usa il suo solito metodo: più la faccio semplice, più la gente mi dà retta. Più mi mostro ‘concreto’ e più mi danno credito. Dopo decenni di azzeccagarbugli che si ammantavano di bei discorsi, riempiendosi la bocca di paroloni (e le tasche di soldoni), è tempo di andare al sodo. C’è l’immondizia da eliminare? La si brucia. Ma non sarebbe meglio ripensare il problema all’origine? In teoria sì, in pratica no. In futuro si vedrà, per ora tiriamo dritto con i soliti sistemi.
Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, gli risponde per le rime. Con la stessa risolutezza, che non concede nulla ai dubbi e ai distinguo, ma con conclusioni di segno opposto: “Gli inceneritori non servono, al di là se sia giusto ideologicamente o no. La domanda è: servono?”.
La risposta è un no a caratteri cubitali. Non solo “non serve incrementarne il numero”, ma ci sarebbe da invertire la tendenza ed eliminarne qualcuno. Cosa che, aggiunge Costa, sta già avvenendo: “il Veneto ne ha chiusi 2, la Lombardia ne chiuderà 4, perché fortunatamente e per capacità dell’Italia la differenziata sta crescendo tanto”.
La sicurezza ostentata da Salvini, nel dare per certo che “con Di Maio troveremo un’intesa per il bene del Paese”, sorvola su un punto cruciale: possono esserci, e ci sono, idee profondamente diverse su cosa sia quel “bene”.
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