Terremoto dell’Aquila, la beffa: le vittime condannate a pagare le spese processuali
Il giudice ha attribuito la responsabilità del disastro alle vittime stesse per aver assunto una “condotta incauta”
I familiari delle giovani vittime del crollo dell’edificio in via Gabriele D’Annunzio 14 a L’Aquila non solo non riceveranno alcun risarcimento, ma dovranno anche pagare le spese legali, pari a quasi 14mila euro. La Corte d’Appello dell’Aquila ha infatti respinto sette ricorsi delle parti civili, confermando la sentenza di primo grado dell’aprile 2022.
Il crollo, avvenuto nel centro storico del capoluogo abruzzese durante il terremoto del 6 aprile 2009, ha causato la morte di 13 persone, tra cui lo studente universitario Nicola Bianchi. In sede penale, l’ingegnere responsabile dei lavori di restauro del 2002 è stato assolto definitivamente dalla Corte d’Appello di Perugia. In sede civile, invece, il recente pronunciamento ha attribuito la responsabilità del disastro alle vittime stesse per aver assunto una “condotta incauta”.
Nicola Bianchi e gli altri ragazzi, colpevoli di condotta imprudente
In primo grado, il giudice Monica Croci aveva riconosciuto il cento per cento di colpa a Bianchi, sostenendo che lo studente fosse consapevole di vivere in un edificio poco sicuro ma avesse comunque deciso di rimanere in casa per sostenere un esame l’indomani. La famiglia di Bianchi, rappresentata dall’avvocato Alessandro Gamberini, ha impugnato la sentenza, ma il collegio giudicante ha nuovamente respinto l’istanza, assieme a quella di altre sei parti civili.
I giudici hanno concluso che gli studenti non sono morti perché rassicurati dalla Protezione civile tramite la Commissione Grandi Rischi, ma per una loro condotta imprudente. La Commissione Grandi Rischi si era riunita all’Aquila il 31 marzo 2009, cinque giorni prima del sisma, lanciando messaggi rassicuranti. Tuttavia, secondo i giudici, non vi sono prove certe che questi messaggi abbiano influenzato la decisione dei giovani di restare nei loro alloggi.
Il verdetto sottolinea che non esiste un nesso causale tra le rassicurazioni della Commissione e la condotta delle vittime. Nella sentenza si legge: “Non v’è prova della fonte della conoscenza della riunione del 31 marzo e della motivazione della rassicurazione tratta”. Gli stessi genitori del ragazzo non contestano che Nicola Bianchi decise di rimanere all’Aquila per un esame e che uscì in strada dopo una scossa delle 22:48, tanto basterebbe a stabilirne la colpa.
La Commissione Grandi Rischi, inizialmente condannata a sei anni di reclusione, è stata assolta in appello ad eccezione di Bernardo De Bernardinis, l’allora vicecapo della Protezione civile, la cui condanna a due anni è stata confermata anche in Cassazione. De Bernardinis, che aveva presieduto la riunione, aveva diffuso messaggi rassicuranti che avrebbero indotto gli aquilani a non prendere misure precauzionali.
Le reazioni
«Mi sono fatto l’idea– ha detto Sergio Bianchi, papà di Nicola, presidente dell’Associazione giovani vittime universitarie del sisma 2009 (Avus)– che questa sentenza doveva andare così, perché ho parlato troppo e quindi è stata una sentenza diretta alla stessa Associazione, ne sono convinto di questo. Io non trovo nessuna logica in questa sentenza– ha aggiunto Bianchi– perché una persona che conosce il terremoto e si sa difendere dallo stesso perché è vissuto in territori sismici viene risarcito, nonostante sapesse dei possibili danni che l’evento avrebbe potuto provocare ma si è fidato degli esperti della Commissione Grandi Rischi; chi non è vissuto in territori altamente sismici ha diritto di morire senza giustizia, come funziona?»