Anche oggi la figura al centro del vangelo è Giovanni Battista, presentatoci stavolta dall’evangelista Giovanni (Gv. 1, 6-8.19-28). Il brano di questa terza domenica di Avvento (Gaudete) presenta alcuni versetti del “prologo” poetico del Quarto Vangelo. Giovanni Battista viene presentato come “testimone della luce”, perché tutti credano per mezzo di lui in Gesù, “la luce vera che veniva nel mondo”. La missione testimoniale di Giovanni Battista, inserita così nella grande “ouverture” del quarto vangelo, assume un valore perenne, innestandosi in maniera stabile ed efficace nella storia della salvezza e qualificandosi, perché ordinata direttamente da Dio (v. 6).
L’evangelista inizia il racconto vero e proprio con la narrazione della prima “settimana” del ministero pubblico di Gesù, dove nuovamente incontriamo Giovanni Battista, a riprova del fatto che nel quarto vangelo la figura di Giovanni occupa uno spazio davvero ampio, non limitandosi a una comparsa iniziale (nel “prologo”). L’effetto di tale significativa presenza scenica è duplice: caratterizzare marcatamente Giovanni come “testimone”, ma anche sottolineare l’alterità di Cristo rispetto a lui, in un duplice movimento di continuità e discontinuità. La costruzione in parallelo e in antitesi dei due personaggi è condotta attraverso una serie di piccoli accorgimenti, tra cui il presentare i discepoli dell’uno e dell’altro e la “concorrenza” sulle pratiche battesimali.
Ma un aspetto rilevante è che le prime parole di autopresentazione di Giovanni sono un’espressione in negativo relativa a quello che egli non è: “Io non sono il Cristo” (v. 20). Giovanni deve rispondere alla delegazione dei sacerdoti e dei leviti mandati da parte dei giudei di Gerusalemme per capire qualcosa della sua identità (vv. 19-24). La confusione che gli interlocutori fanno tra lui ed Elia è spiegata dalla precisazione della zona di attività del Battista come “Betania, al di là del Giordano” (v. 28), il luogo dove Elia era stato rapito in cielo (2Re 2, 7-11). Paradossalmente, il racconto ci dice che Giovanni confessa e non nega, sebbene dia per tre volte consecutive tre risposte negative ad altrettante domande. Giovanni non accetta di essere qualcos’altro o di usurpare un posto che non gli spetta, testimoniando la sua relazione profonda e rispettosa con il Cristo sposo.
Anche le immagini che usa per sé, io sono la “voce” ed egli è la “Parola”, sono immagini attraverso le quali Giovanni si spoglia di qualunque pretesa e rimanda tutto a Cristo, qualificandosi solo in relazione e in vista di lui. L’essere “voce” ne fa il modello di ogni apostolo e testimone, anticipando nell’adempimento della sua missione l’accoglienza del Verbo, “la Parola”, che è richiesta a ogni uomo.
Dopo la sua identità (“non sono io il Cristo”), è il battesimo di Giovanni a diventare oggetto delle incalzanti domande dei mandati dai farisei (vv. 24-28). Il Battista sottolinea lo strumento con cui esegue il battesimo, ossia “l’acqua”, simbolo forte di purificazione per diversi gruppi giudaici al tempo di Gesù.
L’interrogatorio viene condotto proprio dai messi di alcuni esperti di riti di purificazione, come i leviti e i sadducei. Giovanni sta già subendo un miniprocesso e sta confessando e testimoniando lealmente. Più avanti (v. 33) dirà: “Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”.
Giovanni conclude affermando la propria indegnità finanche a fare da servo a colui che viene dopo di lui: “a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo” (v. 27): l’espressione rimanda allo Sposo che è Gesù. Giovanni vuole essere solo “l’amico” dello Sposo (v. 29), qualificando Gesù come lo sposo vero e confermando il lettore nel proprio cammino di fede e di adesione al Cristo Sposo. Questo significa non essere la luce, ma rendere testimonianza alla luce: la gioia dell’amico dello sposo è piena quando ascolta la voce dello sposo, dopodiché il suo ruolo è compiuto. Giovanni sa farsi da parte, sa lasciare il campo, sa additare l’agnello di Dio che passa, affinché anche quelli che finora sono stati suoi discepoli trovino il maestro vero. A maestri e testimoni come lui i cristiani di ogni tempo devono la fede.
E’ questa la convinzione che il Battista incarna nel suo essere totalmente orientato verso colui che testimonia: la luce, la Parola, colui che viene dopo. Le risposte del Battista circa la sua identità intendono custodire la “differenza” che sta a fondamento di ogni testimonianza. Ogni confusione, che ad esempio guarda più al testimone che al testimoniato, fa svanire questa differenza e quindi anche il valore della testimonianza. Il Battista è preciso nel negare la sua identificazione con colui che intende annunciare, non sostituire. L’Avvento vive di questa differenza, quella tra il Signore che è in mezzo a noi e il Signore che verrà. La nostra testimonianza si fonda sulla custodia della differenza tra noi e il Signore del quale siamo voce e lampada perché solo lui è la Parola e la Luce.
Siamo anche noi, proprio come il Battista, solo dei testimoni della Luce. La cerchiamo, la desideriamo, la invochiamo e, per grazia, la possiamo incontrare. Ma nessuno di noi si illuda di possederla. Nessuno si arroghi il diritto di attribuirsi quello che non è suo. Di quella luce meravigliosa siamo solo una traccia, un riflesso. Mettendoci insieme, con semplicità e umiltà, cresce la possibilità di donare un chiarore lungo le strade del mondo. Ma solo se ognuno di noi accetta di guardare alla stessa Luce e di attingere da essa ogni giorno la fiamma che non viene mai meno.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Guida, 2020; Osto, 2020; Laurita, 2020.
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