Sabato 15 marzo è stata inaugurata, nella prestigiosa sede di Palazzo Rospigliosi, la mostra archeologica, realizzata dal Comune di Zagarolo con il contributo del Consiglio Regionale del Lazio e con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, che presenta reperti rinvenuti negli ultimi quattro anni di scavi di ricerca e di indagine preliminare alla realizzazione di opere di edilizia pubblica e privata.
La mostra è stata curata da Zaccaria Mari, Ispettore della Soprintendenza, responsabile per l'area oggetto della mostra e cioè i territori comunali di Zagarolo e Gallicano nel Lazio e da Maria Cristina Recco, archeologa che ha seguito materialmente gli scavi. Direzione artistica di Fabio Uberti.
I reperti esposti coprono un ampio periodo storico che va dall'età Pre-Protostarica, a quella Arcaica e Medio-Repubblicana per finire all'età Romana.
Questo territorio in antico faceva parte dell'Ager Praenestinus, il territorio della città di Praeneste, l'odierna Palestrina, situato tra i venti ed i trenta km. a sud-est di Roma, confinante con Gabii al XII miglio della via Praenestina, Pedum (probabilmente Gallicano nel Lazio), Labicum (presso Colonna), Tibur, cioè Tivoli e Roma. Siamo nel Latium Vetus, l'Antico Lazio, tra i fiumi Tevere ed Aniene a nord, il vulcano dei Colli Albani e la costa Laziale a sud. Qui dopo la romanizzazione avvenuta nel IV sec. a.C i Romani fecero passare ben quattro acquedotti (Anio Vetus, Aqua Marcia, Aqua Claudia e Anio Novus) e due vie Consolari, la Praenestina e la Labicana. Era un territorio ricco di ville rustiche, cioè fattorie, frutteti, vigneti ed oliveti che producevano per il grande mercato di Roma.
Dal II ed il I sec. a.C. furono affiancate dalle ville di otium dei patrizi Romani, la più famosa delle quali appartenne a Giulio Cesare (proprio il 15 marzo ricorrevano i 2080 anni dalla morte). Divenne una famosa Villa Imperiale che le fonti antiche ricordano come residenza dell'imperatore Massenzio. I resti monumentali della villa, ricca di mosaici in bianco e nero e policromi, sono stati rinvenuti nel 2010 a San Cesareo ma giacciono incredibilmente in stato di abbandono, simbolo, insieme a mille altri siti, ai crolli a Pompei, alle Mura Aureliane di Roma e a quelle di Volterra, di un paese che non merita il patrimonio che ha ereditato.
Un popolo di ignoranti che pensa a tutto fuorché alla sua storia ed al suo immenso patrimonio culturale. Che lo considera un problema e non invece quello che è in realtà e cioè una risorsa e una grande opportunità di sviluppo e lavoro. Altro che Grande Bellezza. Qui stiamo assistendo alla Grande Distruzione.
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