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Testimonianza e perseveranza

Le parole di Gesù (Lc. 21, 5-19) che saranno proclamate nella liturgia domenicale della penultima del Tempo ordinario, ci rivelano non qualcosa di strano e occulto, ma il senso profondo della nostra realtà presente: ci tolgono il velo che le nostre paure e i nostri errori ci hanno messo davanti gli occhi, e ci permettono di vedere quella verità che è la parola definitiva (escatologica) di Dio sul mondo. L’evangelista Luca ci vuole mostrare che non si sta andando verso “la fine”, ma verso “il fine” della storia: il vecchio mondo muore, ma nasce quello nuovo. Noi chiediamo a Gesù “quando” sarà la fine del mondo e quali sono “i segni”, ma lui si rifiuta di rispondere, e ci insegna che il mondo ha nel Padre il suo inizio e il suo termine. Gesù vuole anche toglierci quelle ansie e allarmismi inutili sulla fine del mondo che arrecano solo danno.

La profezia di Gesù sulla distruzione del Tempio di Gerusalemme (“non resterà pietra su pietra che non sia distrutta”, v.6) fornisce soltanto l’occasione del discorso sulla fine del mondo: del vecchio tempio non resterà nulla, sarà distrutto come il corpo di Cristo in croce. Il nuovo tempio avrà come testata d’angolo proprio il Crocifisso, la pietra che i costruttori hanno scartato. Alcuni della folla chiedono a Gesù il “tempo” e il “segno” da cui si riconoscerà che l’avvenimento sta per compiersi, e cioè il “quando” della fine del mondo e l’avvento glorioso del Figlio dell’Uomo. Gesù mette subito in guardia i cristiani dagli impostori che cercheranno di trarli in inganno, i quali affermeranno di venire in nome di Gesù e diranno che il tempo è giunto. Chi terrorizza l’uomo con la paura della morte e gli offre la salvezza, può ingannarlo come vuole. Per questo Gesù, come ci libera dalla paura della morte, così allontana da noi ogni paura della fine del mondo, per farci vivere ora nella libertà dei figli di Dio.

“Si solleverà popolo contro popolo…(vv. 10-11). Si ha l’impressione che, dopo gli ammonimenti preliminari che denunciavano un’attesa erronea della fine, il discorso ora affronti il suo vero soggetto: sta per dirci i segni da cui ci si potrà render conto che la fine è vicina. Agli occhi di Luca, “i terrori e segni grandi dal cielo” del v. 11, sono cataclismi che fanno parte della fine e non si possono separare dalla venuta del Figlio dell’Uomo.

“Ma prima di tutte queste cose” (v. 12): le persecuzioni contro i cristiani, ricordate da Luca in questo discorso sulla fine del mondo, non hanno un significato finale (escatologico) perché non sono riservate al tempo che precede immediatamente la fine del mondo. Esse caratterizzano la condizione dei cristiani in questo mondo e per tutto il tempo che durerà la storia di questo mondo. Per questo la preoccupazione di Luca è quella di incoraggiare i perseguitati accentuando i motivi da cui devono trarre fiducia nelle prove. La predizione si trasforma così in un invito alla fiducia e alla perseveranza.

Invito alla fiducia. La testimonianza resa dalle sofferenze patite dai perseguitati deve perorare in loro favore davanti al tribunale di Dio, per loro garanzia di salvezza. Quando saranno trascinati davanti ai giudici ostili, i discepoli di Gesù non dovranno preoccuparsi di quello che diranno, non dovranno preparare prima la risposta, e avranno la promessa che la loro parola sarà invincibile: i loro avversari ne resteranno confusi. Lo Spirito che Lui ci ha donato ci insegnerà in quel momento cosa dire. LA nostra bocca esprimerà una sapienza irresistibile, capace di vincere il male. E’ la sapienza della croce, quella che manifestò Gesù nel suo viaggio diretto (con il volto resistente) a Gerusalemme. Dunque, anche davanti ai tribunali umani, tutto il vantaggio sarà dalla loro parte. Inoltre, Luca ricorda ai suoi lettori la protezione del tutto speciale promessa da Gesù di fronte all’odio degli stessi familiari: “Neppure un capello del vostro capo perirà” (v. 18). Nella decisione per Gesù si verifica la vera divisione tra gli uomini. Siamo odiati perché non siamo del mondo, e sappiamo che amare il mondo è odiare Dio.

Invito alla perseveranza. La persecuzione fa parte delle prove che precedono la “fine” e deve prolungarsi fino a questo termine che sarà anche quello della salvezza. Nel frattempo occorre non lasciarsi sviare: la perseveranza richiama alla mente la “fermezza”, che viene richiesta dalla situazione finale (escatologica), dalla speranza, cioè, di una prossima liberazione. “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (v. 19): è necessario perseverare, pazientare, rimanere fermi durante la persecuzione, fino alla fine del mondo. La perseveranza diviene quella forma di forza d’animo esigita dalle prove della vita cristiana. Essa permette alla vita cristiana di portare frutto, assicura la salvezza dell’anima e l’ingresso nel regno. E’ fedeltà richiesta dalle traversie della vita che pongono in pericolo la stessa fede. Necessaria in ogni tempo, lo è in modo particolare in tempo di persecuzione. Tale costanza si appoggia sulle promesse di protezione e di aiuto divino fatte da Gesù ai discepoli. E diventa così una forma di fiducia in Dio, che non abbandono i suoi nelle difficoltà.

Bibliografia consultata: Dupont, 1970; Fausti, 2011.

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