Palermo, 20 Gennaio 2021. Una tragedia improvvisa ha scioccato l’opinione pubblica. Una bambina di soli 10 anni, si reca in bagno per fare una doccia. Da quella stanza non ne uscirà più viva. Poco dopo, i genitori, scoprono la figlia impiccata con una cintura elastica del padre, lasciata in bagno dallo stesso insieme agli altri indumenti, pochi minuti prima.
Mentre il 26 Gennaio, parenti e amici si raccolgono intorno alla piccola bara per l’ultimo saluto, gli inquirenti proseguono le indagini:
L’intento della piccola non era quello di porre fine alla sua vita ma molto probabilmente quello di partecipare ad una challenge lanciata sulla popolarissima applicazione TikTok.
La Blackout challenge sembra essere molto conosciuta tra le fasce più giovani della popolazione italiana. Molti ragazzi d’età compresa tra i 10 e i 18 anni sono a conoscenza di questa “sfida virtuale” e molti di loro hanno preso parte al gioco, uscendone fortunatamente vivi e riuscendo a postare la loro impresa sulle varie applicazioni. L’obiettivo è sempre quello di aumentare i propri follower e di raggiungere numeri elevati di like.
La challenge in questione potrebbe essere presentata come un trucco di magia molto simile a quelli praticati dal famoso Houdini, trucchi che tra l’altro anche all’epoca del personaggio in questione venivano classificati come pericolosi.
Il partecipante è infatti tenuto a riprendersi mentre prova a soffocarsi, sperimentando il brivido della morte. Vince, o meglio vive, chi riesce a slegarsi in tempo prima di perdere i sensi e morire. Un gioco atroce quindi, che entra tra le fila delle numerose challenge ad alto rischio presenti su queste app.
Tramite un profilo personale, si ha la possibilità di creare brevi clip e di modificarli sia graficamente che tramite il montaggio di altri suoni e immagini. Una piattaforma apparentemente innocua, attualmente ancora nelle mani dei creatori e non di proprietà di Facebook (che ha invece acquistato anche Whatsapp e Instagram). L’app con il tempo ha acquistato notorietà; i video prodotti con quest’ultima possono essere condivisi anche sulle piattaforme di Zuckerberg trascinandola in poco tempo al centro della rete, nel mondo virtuale dominato soprattutto dai giovani, molti dei quali minorenni.
Proprio per questo, a fronte della vicenda di Palermo, il Garante della protezione dei dati personali italiano ha disposto un blocco immediato per l’uso dei dati di tutti quegli utenti per i quali l’applicazione non sia in grado di determinarne con sicurezza l’età anagrafica. Il Garante ha accusato i responsabili della piattaforma anche di avere poca attenzione nei confronti della tutela dei minori. Il problema principale però è che nonostante servizi del genere impongano l’accesso solo ai maggiori di tredici anni, la dichiarazione della reale data anagrafica è facilmente aggirabile tramite date di nascita false o l’uso delle carte di credito dei genitori, nel caso di pagamenti interni alla piattaforma.
Ma resta sempre l’interrogativo su una presa di posizione del genere, da alcuni considerata troppo estrema, dato il rischio di compromettere il diritto all’anonimato online a fronte di maggiori controlli dei dati (sottolineando che si tratta sempre di dati privati) e che TikTok è solo una tra le tante applicazioni esistenti che al momento non hanno ricevuto alcun blocco.
La risposta potremmo trovarla tra le mura domestiche ma anche nei luoghi dell’istruzione: in un mondo come quello di oggi dove il virtuale entra a far parte di quello concreto, i giovani devono essere educati ad una maggior consapevolezza dei pericoli del web, un percorso educativo che si dovrebbe fare insieme ai genitori, spesso troppo ignari di tali rischi.
Articolo di Marta Giorgi. Disegni di Chiara Giorgi
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