Tra Anassimandro e Leopardi. Nota su Emanuele Severino
E’ un piacere vedere intrecciarsi le parole dell’ultimo filosofo italiano con uno dei poeti più importanti della nostra tradizione
Secondo Platone e Aristotele, la filosofia nasce dalla meraviglia. Lo stupore di fronte allo spettacolo – a volte raccapricciante – dell’essere, ha spinto, in ogni tempo, gli uomini a filosofare. Le forme della sapienza umana sono molte e variegate, dalla Bibbia al grande pensiero orientale. Ma, dal punto di vista tecnico, è possibile chiamare filosofia soltanto quella forma del pensiero europeo-occidentale, che da Platone arriva fino ad Hegel, Nietzsche e Heidegger.
Come siamo messi in Italia? Il pensiero italiano ha avuto, nel corso della sua storia, sviluppi tanto interessanti, quanto originali. Da Machiavelli e Giordano Bruno, passando per Vico e Leopardi, per arrivare a Croce e Gentile.
Tra Parmenide e Heidegger
Dopo la morte di Giorgio Colli, nel 1979, i nomi più interessanti che emergevano in quel momento erano quelli di Emanuele Severino (1929-2020) ed Umberto Eco (1932-2016). Ma Eco è stato, soprattutto, un semiologo, oltreché un grande letterato, autore di romanzi di successo, su tutti “Il nome della rosa” (Bompiani) del 1980.
Viceversa, Severino è stato un filosofo purissimo e di autentica lega. Ossia il suo pensiero si confronta con gli stessi problemi con cui si erano confrontati Platone e Aristotele, Kant e Hegel al tempo loro. Il suo percorso inizia negli anni ’50, con “Heidegger e la metafisica” (Adelphi) e “La struttura originaria” (Adelphi). Ha uno sviluppo significativo con “Essenza del nichilismo” (Adelphi) del 1972 e la definitiva maturazione (e consacrazione) con “Destino della necessità. Katà tò chreón” del 1980, che aprì la collana Biblioteca Filosofica di Adelphi.
La posizione di Severino, che ha profondamente assimilato e meditato il pensiero di Nietzsche e Heidegger, è peculiare. Il primo saggio di “Essenza del nichilismo” si intitola Ritornare a Parmenide ed è, in qualche modo, il manifesto del suo pensiero. Nel grande ripensamento del pensiero dei Presocratici compiuto dalla filosofia contemporanea, Nietzsche e Heidegger arrivano alla sapienza greca soprattutto tramite Eraclito ed Empedocle.
Non che ignorassero Parmenide, ci mancherebbe ma, più o meno consapevolmente, decisero di aggirarne lo scoglio. Parmenide, infatti, afferma che soltanto l’essere è e il non essere è necessario che non sia. Ossia, le cose, i singoli enti, gli essenti che compongono la realtà, non sono, non esistono realmente, sono manifestazioni dell’apparenza.
Nel “Sofista”, Platone parlò di “parricidio” in relazione a Parmenide, poiché spinto dalla sollecitazione dell’esperienza, decise di legittimare – da un punto di vista ontologico – il singolo ente, la singola cosa, il singolo essente. Non a caso, un altro libro importante di Severino si intitola “Il parricidio mancato” (Adelphi). Nel fondare la filosofia e la metafisica dell’Occidente, Platone è costretto a staccarsi dal grande sapiente dell’epoca arcaica, che, con maggior forza, aveva inaugurato il filone ontologico del pensiero occidentale.
Da Parmenide ad Anassimandro
Ma Severino ripensa e riprende Parmenide solo parzialmente. Il sottotitolo di “Destino della necessità”, cita una parte dell’unico frammento di Anassimandro in nostro possesso, che è il primo testo filosofico della cultura occidentale. Per Severino, il vero dramma del pensiero occidentale è il divenire. L’accettazione dell’evidenza del divenire, propria di tutta la cultura occidentale ed europea a partire da Eraclito, ha fatto sì che la metafisica scadesse nel nichilismo.
Per Severino, pensare che le cose, gli enti, gli essenti – uomini, animali, piante e cose materiali – escano dal nulla (con la nascita) e rientrino nel nulla (con la morte), significa equiparare al nulla ogni singolo ente, ogni singola cosa, ogni singolo essente. Dal suo punto di vista, invece, gli enti, gli essenti sono eterni. Poiché il divenire, con il suo ciclo di nascita e morte, appartiene alla sfera dell’apparire.
Il nichilismo dorme nel cuore della cultura occidentale da sempre, ed era stata, questa, un’intuizione già di Nietzsche e Heidegger. La curvatura parmenidea e anassimandrea conferita da Severino alla concezione dell’essere, ne fa una proposta filosofica nuova ed originale. In più, bisogna tenere conto che la padronanza che Severino ha mostrato verso la cultura filosofica dell’Occidente è straordinaria, superiore a quella di Nietzsche, ad esempio, che aveva una formazione filologica.
Con ciò non si vuole affermare la superiorità di Severino su Nietzsche, ma soltanto sottolineare la sua straordinaria conoscenza della filosofia. Una volta Calasso ha sottolineato che Heidegger è stato l’unico a rispondere a Nietzsche. Analogamente, è possibile affermare che Severino è uno dei pochi che rispondono ad Heidegger.
Non solo, ma egli ha sostenuto polemiche molto agguerrite con studiosi di altissimo livello come Gustavo Bontadini, il suo maestro e Giovanni Reale, grande interprete del pensiero di Platone e Aristotele.
L’ultimo passaggio significativo del pensiero di Severino è la concezione della Gloria della Gioia, che viene completamente dispiegata in “Oltrepassare” (Adelphi) del 2007, forse l’ultimo dei grandi libri di Severino. Morte e dolore provengono dal divenire. Quando si imporrà la visione dell’eternità dell’essente e del destino della verità (una delle formulazioni con cui Severino compendia ed essenzializza la propria posizione), troverà spazio la dimensione dispiegata e aperta della Gloria della Gioia.
Su suolo italiano
Per quanto riguarda la modernità e la contemporaneità, oltre a Nietzsche e Heidegger, sono stati soprattutto Leopardi e Gentile ad offrire a Severino stimoli fondamentali. A Leopardi Severino ha dedicato ben tre volumi: “Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi” (Bur), scritto come pendant a “Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo” (Adelphi); nonché “Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi” (Bur), più un piccolo volume minore.
Leopardi interessava tanto Severino, per due motivi. Innanzitutto Severino ne intuisce tutta la grandezza filosofica, nascosta sotto lo splendore della sua parola poetica e letteraria, soprattutto in quell’opera-mondo speculativa che è lo “Zibaldone” (lunga almeno quanto “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust!).
In secondo luogo, Severino vede nel pensiero di Leopardi la massima radicalizzazione possibile della concezione occidentale del divenire. Per il poeta di Recanati, in maniera opposta e speculare a Severino, tutto è nulla – laddove la posizione di Severino potrebbe essere compendiata con la frase: “Tutto è eterno”.
Inutile negare, che è un piacere vedere intrecciarsi le parole dell’ultimo filosofo italiano con uno dei poeti più importanti della nostra tradizione. In un tempo come questo, non particolarmente felice per il nostro Paese, allarga il cuore…
Daniele Lorusso