Tv, la storia del “giudice meschino” dal libro di Mimmo Gangemi
Lunedì 3 e martedì 4 marzo, andrà in onda su Rai 1, la miniserie tratta da “Il giudice meschino”
Lunedì 3 e martedì 4 marzo, andrà in onda sul primo canale della Rai, la miniserie tratta da “Il giudice meschino”, libro del noto scrittore calabrese Mimmo Gangemi, pubblicato da Einaudi, nell’anno 2009.
Ho avuto il privilegio d’essere, presuntuosamente, uno dei primi a leggere il libro. Lo avevo comprato perché intuivo la bravura dello scrittore, visto che conoscevo la sua preparazione e serietà nell’esercizio del suo mestiere, quello di ingegnere, da anni ormai. E anche perché incuriosito dal giudizio positivo che ‘qualcuno’ molto potente nei piani alti della RAI (quelli che contano) aveva espresso, parlando con me.
La lettura del libro mi ha appassionato fin dalle prime parole. Per un lettore calabrese, leggere “Don Mico Rota alloggiava in carcere da oltre quattordici anni,” […] significa essere immediatamente attratto e catapultato in un mondo famigliare, e senza ipocrisia, affascinante. Non lo ho abbandonato fino all’ultima parola: “bastone”. L’ho letto tutto di un fiato. Tutto in una notte. E in alcune ore della mattinata seguente. Non ricordo più quante tazzine di caffè ho bevuto. Ricordo che il mio cuore era in tachicardia, per l’emozione della lettura, oltre che per la caffeina e la notte in bianco. In sintesi, un giudice… E no! Non ve lo racconto. Vi toglierei il piacere di leggerlo.
Il libro di Mimmo, in ogni modo, è un mosaico composito e consapevole. La materia che tratta è quella con cui convive dalla nascita. La conosce. La conosce oltre ogni imposizione mediatica. Al di là del mito positivo e negativo; oltre il romanticismo della memoria; oltre la tendenza manipolatoria degli scritti di giornalisti al servizio di uno Stato che s’eclissa, per non prendersi responsabilità; oltre l’umana paura. Conosce la materia perché la vive quotidianamente.
Mimmo oltre la intelligenza e la cultura, ha le Physique Du Role. E’ alto e bello. E’ uno scrittore moderno. Uno scrittore affascinante anche fisicamente; il che non guasta in questa società dell’immagine.
In attesa della miniserie, ho colto l’occasione per fargli una breve intervista telefonica, per IL QUOTIDIANO DEL LAZIO, del direttore Francesco Vergovich; nel programma del quale, subito dopo la pubblicazione del libro, facemmo già una interessante dialogo con lo scrittore.
Ecco di seguito trascritta l’intervista telefonica:
Egregio Mimmo, quanto è stato difficile il cammino letterario di uno scrittore come te nato a Santa Cristina d’Aspromonte?
"La Calabria è la periferia dell’Italia. Chiaro che, vivendo lontano dai circuiti che contano, diventa più complicato fare udire la propria voce. Poi, la provenienza Aspromonte continua a creare pregiudizio – immeritato – magari inconsapevole in chi lo esercita, però succede. E non è il piagnisteo dei meridionali. Ho toccato con mano che è così, che a chi vive quaggiù tocca sempre un percorso a handicap".
Ha un senso, ancora, scrivere libri in una società come la nostra?
"Ha sempre un senso scrivere un libro. Ha senso per se stessi, perché una soddisfazione che è l’animo a pretendere, perché tra le viscere vagano idee, sensazioni, storie che spingono a uscire e a essere raccontate. Poi, se la scrittura porta il successo, è un di più ma non è quello che più conta. E un libro aiuta sempre, specialmente quando si vive in una società decadente come quella di adesso".
Hai avuto ‘difficoltà’ a trattare alcune tematiche ‘tabù’ nei tuoi libri, considerato che sei aspromontano?
"Io non mi pongo il problema del lettore né di come una mia opera possa essere accolta dalla stampa o dalla critica o dagli esperti di mafie, scrivo per me stesso, per una mia esigenza interiore. Perciò mi interessano poco le reazioni che posso suscitare quando affronto tematiche scottanti. Ho bisogno di estrarle e credo che serva a tutti sentire una voce vera da dentro l’Aspromonte piuttosto che le fantasie adulterate di chi nulla sa di questa montagna bellissima, e non certo cruda e assassina come in tanti si sforzano di descriverla, a cominciare da Giorgio Bocca – in “Inferno” scrisse menzogne vergognose, tipo il cartello stradale con la scritta 'attenzione, qui possibili scontri a fuoco'”.
Petrarca quando parlava degli scrittori, dei poeti, affermava che sono come l’ape che succhia il nettare di fiori diversi e poi lo condensa nel miglior miele. Tu da quali ‘fiori’ hai succhiato il nettare (se hai succhiato) e che sapore credi abbia il tuo ‘miele’ letterario?
"Le letture adolescenziali e della giovinezza lasciano sempre il segno, così in me quelle di Giovanni Verga (Mastro don Gesualdo e i Malavoglia), di Leonardo Sciascia, di Gabriel Garcia Marquez (considero “Cent’anni di solitudine” il più bel libro del ‘900). Mi avranno certamente influenzato. Comunque, nei periodi in cui scrivo un romanzo, evito di leggere altri autori, per non “succhiare” dal loro stile, perché voglio conservare il mio, che ritengo unico e particolare".
Cosa ne pensi dei libri cartacei e di quelli digitali?
"Prediligo il cartaceo. Ma non disdegno il digitale. E prendo atto che il mondo procede spedito verso gli ebook, sono essi il futuro. Sapremo adattarci".
Cosa ne pensi di questi ‘reality sugli scrittori?
"È stato uno spettacolo piacevole, originale. Poi a dirigere c’era il mio amico Giancarlo De Cataldo e questo dà una mano in più a farmelo piacere".
Come è stata l’esperienza del film tratto dal tuo libro ‘Il giudice meschino’?
"Ho vissuto le riprese dietro le telecamere, da “guardone” con la cuffia. Un mondo affascinante. Ho presto superato l’impatto con quest’arte molto più veloce, immediata, rispetto alla scrittura. Una bella esperienza, anche perché mi ha dato possibilità di interfacciarmi con il regista Carlo Carlei, che è un grande, e con un cast eccezionale".
I calabresi riconoscono il tuo valore letterario e umano?
"Ora sì. E ne sono contento. Ma constato amaramente che sono dovuto salire al Nord, a Torino, e tornare da lì con il marchio Einaudi per essere riconosciuto scrittore, quando forse i miei libri migliori li avevo prodotti prima. L’idea è che quaggiù si sia ancora colonia, che ti consacrino solo dopo che lo fanno altrove. E questo non mi piace".
Com’è la Calabria di oggi. Coltiva speranze, ancora?
"La Calabria è una terra difficile. E ha il bubbone della ’ndrangheta. Ma non è quel mondo terribile che propinano i media. Io ho scelto di restarci perché ho ritenuto, e ritengo, che “pesino” di più i valori umani – qui resistono e altrove si vanno estinguendo – rispetto alle barbarie, su tutte la ’ndrangheta".
Ti stai preparando per il Nobel per la letteratura?
"Posso solo rispondere con una grossa e grassa risata"
Mimmo dimentica, che, quando nel 1987, ne ‘La casa di Giulietta’ a Verona, dissi le medesime parole alla mia amica Doris Lessing, pure lei, rise forte.
Voglio ricordare al lettore distratto che Doris Lessing, è stata poi nel 2007, premio Nobel per la letteratura.