Più che fare della noiosa critica televisiva, vorrei analizzare quali possono essere le ragioni di un probabile cambio di atteggiamento del pubblico verso un prodotto di cui prima aveva decretato il successo. Vi confesso che non sono mai stato un grande appassionato di fiction. Non so come lo scorso anno m’imbattei nel “Paradiso delle Signore” e ne rimasi incuriosito. La scrittura era ben articolata e intrigante, così le storie d’amore che si intrecciavano e i caratteri dei personaggi ben costruiti. Aiutava il gradimento la ottima scelta dei protagonisti e dei ruoli secondari. Ma la cosa che più mi attirava era la ricostruzione dell’Italia degli anni ’50, che avevo vissuto nella mia infanzia. Quegli abiti li avevo vissuti, da bambino, quando passavo molte ore nel negozio di confezioni “La Casa del Corredo”, che i miei nonni gestivano a Follonica. Non era il “Paradiso” ma qualcosa che lo ricordava. Rivedevo le gonne ampie e lunghe e i cappotti di mia madre, che era sarta, le auto di mio padre: la 1400 Fiat, la Giulietta, l’Appia… Le divise della Polizia e un certo perbenismo che ormai s’è perso del tutto, purtroppo per lasciare spazio a volgarità insopportabili.
Non so se queste sono state le ragioni del successo di Pietro Mori e Teresa Iorio, peraltro interpretati da due bravissimi attori (Giuseppe Zeno e Giusy Buscemi) che hanno lasciato la serie, nel passaggio da fiction a sitcom quotidiana. Certamente il pubblico si era appassionato alle vicende dell’Italia del dopoguerra. Drammi e gioie che hanno toccato tutta l’Italia. Sia la prima stagione, iniziata l’8 dicembre 2015, che la seconda, avevano registrato una percentuale di audience molto alta. Il 25% la prima e il 17% la seconda, con quasi 4 milioni spettatori di media, ma erano 20 puntate in prima serata. Ora, cambiando orario e formato, la questione è diversa. Il bacino di utenza di una prima serata è ampio, moltissimo, rispetto a quello del pomeriggio. I due pubblici sono del tutto diversi. Solo dei pensionati o dei disoccupati possono permettersi di passare tre quarti d’ora davanti alla tv nei pomeriggi feriali, mentre la sera, potenzialmente, tutti sarebbero disponibili.
La terza serie è iniziata il 10 settembre di quest’anno e va in onda dal lunedì al venerdì alle 15.25 per 180 puntate di 45’. Dopo una partenza non eccezionale, sotto il 10%, pare che stia recuperando ma siamo appena a poco più dell’11%, lontani dallo share del prime time e dai milioni di spettatori della sera. Dipende dal format, dal cambio quasi radicale degli attori, dalla collocazione oraria, dal traino? Certo il programma della Balivo, “Vieni con me”, a dispetto del titolo, non ha un gran seguito e la tendenza è a diminuire, influisce quindi sulla sitcom che lo segue con un traino basso. In questi casi si recupera a volte ma con grande sforzo. Non si capisce perché abbiano eliminato il bravo Alessandro Greco con il suo “Zero e lode”, che pure due punti in più della Balivo li portava a casa, ma queste ragioni non sono mai spiegabili con la logica e, soprattutto, non si può sapere prima se il programma nuovo andrà meglio o peggio del vecchio.
Fatto sta che “Il Paradiso delle Signore” ancora non decolla. Lasciamo gli algoritmi e le percentuali ai tecnici e vediamo se ci possono essere motivazioni nel gradimento del programma. In sostanza cos’è che piace meno o non piace della terza serie?
Rai Fiction e Aurora Tv hanno fatto un enorme sforzo per la produzione. Hanno abbandonato gli studi di Torino per girare gli esterni a Milano in un’area di 1000 mq e gli interni alla Videa di Roma, dove sono stati ricostruiti 40 set in due studi da 1.500 mq l’uno. Fino al marzo 2019 si girerà un episodio al giorno, un ritmo incalzante che non ammette errori. La macchina affidata a Giannandrea Pecorelli di Aurora Tv, si avvale di quattro unità di regia che lavorano contemporaneamente, 20 attori principali e 350 che si alternano e molte comparse. Tra i 40 set ricostruiti a Roma ci sono bar, uffici, appartamenti, circolo sportivo e un ristorante con terrazza con vista sul Duomo di Milano e sulla Galleria. Si gira tra le una del pomeriggio e e le prime ore del mattino. Una corsa contro il tempo quindi. Indubbiamente questo maggior sforzo produttivo toglie qualcosa alla qualità del prodotto finito, rispetto alle serie precedenti. La produzione non lo ammetterà mai e certi aspetti il pubblico non li coglie razionalmente ma incidono eccome sul gradimento. Se la recitazione non è all’altezza e tutto, insomma, è un po’ meno curato, alla fine si fa strada nello spettatore una sensazione di sgradevolezza che si misura sul confronto emotivo con la serie precedente. Su questo dato non ci giurerei ma diciamo che è un sospetto fondato che andrebbe misurato con strumenti adeguati.
Veniamo agli attori protagonisti. Vittorio Conti (interpretato dall’attore Alessandro Tersigni) ha perso molto della brillantezza e simpatia delle vecchie serie. Ora è un imprenditore e di guai sulla testa ne ha diversi. Prima era un creativo, un pubblicitario scapolo e di successo. Ora è a capo di un’azienda ricattabile perché esposta con la banca di un suo nemico, il banchiere Umberto Guarnieri (Roberto Farnesi), che lo ha finanziato per riaprire il negozio ma che aspira danneggiarlo per impossessarsi dello stesso. Per di più la sua fidanzata, Andreina Mandelli (l’attrice Alice Torriano) non è più l’affascinante figlia di buona famiglia, con la messa in piega bionda, elegante e di bell’aspetto. Adesso è una latitante, trasandata, pettinatura scura scapigliata, senza le sue sicurezze e i suoi privilegi e dipende dall’ aiuto di Vittorio, in perenne ansia per lei, accusata di essere complice della madre, come mandante dell’omicidio di Pietro Mori. Oggettivamente la storia pone più ansie che piaceri. Ogni volta che vedo apparire Andreina disperata, passerei subito alla scena seguente. Come un disco rotto lei chiede di non vivere più lontano da Vittorio, di non doversi più nascondere come un’assassina. Ma ovviamente la soluzione è lontana.
Le “veneri” non sono state scelte con l’attenzione delle precedenti, dove ce ne erano di molto più belle e con storie avvincenti, a parte la simpatica Neva Leoni, che interpreta Tina Amato, la giovane siciliana ribelle. Anche la “capa delle commesse” Clelia Calligaris (Enrica Pintore) molto carina e brava, ma nascosta in una divisa che non le dona, non regge il confronto con l’aristocratica e altissima Cristiana Filangieri, nelle vesti della signorina Clara Mantovani, pur se, con poca fantasia, accomunate nel ruolo di ragazza madre, con figlio al convento.
La protagonista Marta Guarnieri (Gloria Radulescu) è un personaggio tenero e attraente ma per ora promette più che agire e non regge il passo con la dolcissima Teresa Iorio (Giusy Buscemi) sempre coinvolta in dilemmi d’amore, vedremo in seguito.
Poi c’è la famiglia Guarnieri, con Adele di Sant’Erasmo (una Vanessa Gravina smagliante) antipatica, dispotica, ma precisa nel suo ruolo che dovrebbe ricalcare quello della madre di Andreina, Marina Mandelli (interpretata dalla magistrale Helene Nardine) e Roberto Farnesi nella parte di Umberto Guarnieri: “finalmente un ruolo da cattivo” ha esclamato l’attore costretto sempre a fare il bello e buono. Non so spiegarvi bene perché ma la interpretazione di Corrado Tedeschi del Carlo Mandelli banchiere, era più credibile!
Infine il perfido Luca Spinelli, l’attore di teatro Francesco Maccarinelli, non si è ancora scrollato di dosso la polvere del palcoscenico, con una recitazione tesa, troppo caricaturale del cattivo, con sete di vendetta.
Insomma sul lato recitazione una cappa opprimente e ansiogena aleggia sul “Paradiso”, privato dei sorrisi e degli alti/bassi di Teresa Iorio e di Vittorio Conti. Le stesse famiglie Cattaneo e Amato non vivono un periodo sereno, sospesi tra le ambizioni conflittuali della Milano perbenista e le ombre della antiquata e opprimente cultura siciliana, che perseguita il povero Antonio Amato (Giulio Corso) in lotta contro il padre della sua fidanzata. Solo la madre sicula Agnese Amato (Antonella Attili) mostra doti interpretative non indifferenti. Ma in complesso si recita troppo e si nota.
Il magazzino con Quinto Reggiani (Cristiano Caccamo) e Corrado Colombo (Marco Bonini) è sparito e con il magazzino le storie border line e gli amori incompresi con lieto fine, come quello di Quinto con Anna Imbriani (Giulia Vecchio) sedotta e abbandonata e poi raggirata dall’ex amante che le sottrae il figlio della colpa ma alla fine l’amore vince. Il tradimento extramatrimoniale dell’altra commessa Lucia Gritti, la finta Marilyn, interpretata da Lorena Cacciatore, era un must degli anni ’50. Tradimento con pentimento. Una sotto storia forte, intensa a lieto fine. Le storie secondarie della terza serie non riescono a dare aria e vie d’uscite all’atmosfera negativa che aleggia nella sit-com. Il Commissario di Polizia, per fare un esempio, appare un po’ ridicolo e poco credibile nel suo giocare a guardia e ladri, nascosto dietro l’angolo del negozio, per “beccare” Vittorio con la Andreina. Niente di paragonabile alla affascinante inquietudine dovuta alla presenza di Andrea Osvart nel ruolo di Rose Anderson o ad Alessandro Averone, in quello del fuorilegge Bruno Jacobi, amico e assassino di Pietro.
Se l’ascolto non può essere quello del prime time e la nuova serie non è paragonabile alle precedenti per questo aspetto, la sitcom soffre invece per le storie, i personaggi, l’atmosfera, il “mood”, che non induce coinvolgimento ma ansia e pena, verso le nuove vicende. Diciamo che il pubblico potrebbe sentirsi tradito per questo cambiamento così vasto di atmosfera e di volti. Quando in “Beautiful” cambiavano un attore non c’era contraccolpo, perché tutto l’impianto della sitcom restava immutato e in breve tempo il nuovo volto veniva accettato e integrato nella vicenda. Ma “Beautiful” è sempre stata una sitcom, sempre uguale a sé stessa, nei suoi intrighi assurdi e irrealisticamente possibili. Una commedia sull’incesto, in sé ridicola, ma senza sorprese di scrittura e cambio di format. Non è mai diventata una fiction né è mai derivata da una fiction. Poi dipende da come le fai le cose, chiaro. Credo che con il “Paradiso delle Signore” si sia contravvenuto alla regola che il format vincente non si cambia. Tuttalpiù se ne può ideare uno similare nuovo, con altre ambientazioni e personaggi, in altra epoca e in un altro luogo, che cerchi di conquistarsi il proprio pubblico per una nuova stagione di successi. La terza serie del “Paradiso”, ridotto a sitcom, è diventata invece la brutta copia delle belle fiction degli scorsi anni. Alla fine forse bisognava abbandonare il grande magazzino e Milano e creare una storia di famiglie italiane anni ’60, del tutto nuova, magari strizzando l’occhio alla commedia all’italiana o al romanzo d’appendice.
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