A chi viaggia sui mezzi pubblici di Roma sarà capitato, quando ci sono e quando funzionano, di vedere sui monitor uno spot che dovrebbe servire a mettere in guardia gli utenti rispetto al rischio di essere derubati. È un cartoon in cui un ometto col viso coperto cerca di rubare il portafoglio di un signore o ravanare nella borsa di una suora e così via, bloccato sul punto di commettere il reato, non da un viaggiatore avveduto né tantomeno da un vigilante, ma da un salvifico "poof!".
Quella dei furti su autobus e metro è diventata una vera emergenza a Roma e gli avvertimenti non sono mai abbastanza. A dire il vero io ritenevo questo strumento un po' troppo debole, troppo ammiccante, troppo simpatico e troppo sporadico per costituire un vero allarme. Più utili sarebbero avvisi espliciti, testuali, in più lingue, che mettano costantemente sull'avviso i malcapitati viaggiatori riguardo l'alta probabilità dei tentativi di borseggio e le relative tecniche di esecuzione. Ma – pensavo – chi ha ideato la campagna e chi l'ha commissionata, si sarà fatto i suoi calcoli riguardo all'efficacia.
Giorni fa mi è capitato, però, di vedere una striscia un po' più articolata, con il solito protagonista bendato, e un titolo che conteneva il suo nome: Rubicchio. Ero certo che fosse frutto della mia fantasia, di un malevolo disguido causato dal mio pregiudizio, così sono andato a verificare su internet. Sorpresa! Evidentemente sono stato molto distratto, perché il personaggio esiste da una decina di anni, dispone di un sito tutto suo e di una pagina facebook e, apprendo, era effettivamente nato con lo scopo di avvertire i poveri utenti dell'Atac, ma è risultato così simpatico al suo sventurato pubblico che non c'è da stupirsi se, come ci spiega la sua biografia "sfortunato nel suo mestiere di ladro che è sempre in bolletta si sia trasformato in un cartoon con centinaia di migliaia di appassionati".
Io non ce l'ho con l'equipe dei suoi sceneggiatori e disegnatori, fieri della propria creatura tanto da usare un'enfasi sconfinata nel raccontarne la storia e contare in "centinaia di migliaia" i suoi fans (vorrei conoscerli uno per uno). Finché trovano un'azienda che li paga, fanno il loro e mestiere e fanno bene a vantarsene. Quello che trovo incredibile è che l'azienda – pubblica – che li paga, alle prese con un vero flagello rappresentato da ladri tutt'altro che sfortunati, affidi ad un messaggio tutto sommato tranquillizzante l'attività di repressione e assuma ad emblema la mascotte del ladro, un ladro che in fondo non ruba, rubicchia. La stessa azienda che, per altro, è al centro di una inchiesta su uno dei più grandi furti del secolo ai danni dei contribuenti, quello dei biglietti clonati.
Se volessimo fare dell'ironia, e non è proprio il caso, potremmo dire che si tratta proprio del testimonial giusto per una siffatta azienda. Ma siccome vittime reali dei tanti Rubicchio sono gli utenti, italiani e stranieri, e i dipendenti di una delle società pubbliche peggio messe d'Italia, ci preme solo segnalare che forse si dovrebbe imporre una comunicazione più rigorosa e rispettosa dei suoi destinatari. Anche perché, sono gli stessi autori a scriverlo in maniera impudente, "fa sorridere il pensiero che, mentre siamo persi dietro Rubicchio, qualcuno possa tranquillamente derubarci" ficcandoci la mano in tasca o rifilandoci un biglietto falso. A me questo pensiero non fa sorridere affatto, mi fa venire i brividi.
*Articolo già pubblicato sull'Huffington Post nel blog di Umberto Croppi, Direttore generale della Fondazione Valore Italia.
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