Uno sguardo totale sulla Grecia. Sulle tracce di Bruno Snell

Se c’è un grecista in grado di reggersi tra filosofia e storiografia, tra enfasi e concretezza, questi è Bruno Snell

Partenone di Atene

Partenone di Atene

Nell’epoca della globalizzazione neo-liberista a chiave informatica, l’umanesimo classico può risultare vecchio, desueto. Poi, riflettendo, sorge spontanea questa risposta. Vecchio e sorpassato rispetto a cosa? Ad una comunicazione che viaggia alla velocità della luce? Ad un impoverimento dell’esperienza mai registrato prima, in altre epoche della storia passata? Al dolore che esplode rapido e incontrollato nelle vite di ognuno di noi? La cultura greca e quella romana, viceversa, sono ancora in grado di gettare sulle nostre esistenze una luce radente ed essenziale…

Origine è la meta

In ogni caso, illuminare le origini della cultura occidentale non è mai stata un’operazione semplice. È possibile affermare che la scaturigine della cultura europea sia duplice: il ceppo classico e quello biblico. A sua volta, ognuno di questi due elementi può essere raddoppiato. Per cui avremo un’origine greco-romana e un’altra ebraico-cristiana. In questo modo, le matrici fondamentali della cultura occidentale salgono da due a quattro.

Eppure – nonostante il ruolo predominante esercitato dal cristianesimo negli ultimi duemila anni – non apparirà esagerato affermare che la cultura greca abbia giocato un’azione preminente nello sviluppo delle forme di pensiero dell’Occidente. Basti pensare a manifestazioni epocali come la filosofia, la democrazia, la scienza, le arti figurative.

Tra Apollo e Dioniso

I libri in grado di introdurci in quel mistero che corrisponde alla nascita dello spirito greco e occidentale non sono, in fondo, molti. Certamente la prima opera di Nietzsche (un Nietzsche formatosi da filologo e non da filosofo), “La nascita della tragedia” del 1872, ha giocato un ruolo essenziale.

Non solo, ma già il Rinascimento si era dedicato, con ardore ed entusiasmo, a riscoprire la grande cultura antica. Analogamente, la cultura tedesca tra Settecento e Ottocento aveva intrattenuto con il mirabile spirito degli antichi uno scambio decisivo. Si pensi a Winckelmann, Goethe, Schiller, Hölderlin, Schelling, Hegel.

Il giovane Nietzsche – sollecitato dalla filosofia di Schopenhauer e dalla musica di Wagner – non si fermerà alla dialettica di apollineo e dionisiaco come origine della tragedia, ma si spingerà ad una comprensione totale della cultura greca. Nel 1873 comporrà, senza pubblicarlo, uno scritto intitolato “La filosofia nell’epoca tragica dei Greci” in cui, per la prima volta, i Presocratici sono interpretati così come avviene oggi.

La geniale mente del giovane Nietzsche comprese una cosa essenziale: l’epoca arcaica della Grecia è molto somigliante al nostro mondo contemporaneo per un elemento essenziale. Nell’età arcaica non si dà metafisica, perché questo fenomeno deve essere ancora inventato (ed accadrà con Platone e, poi, con il cristianesimo). Analogamente, nella contemporaneità la metafisica è crollata dopo il bimillenario dominio che unisce Platone con Hegel.

Metafisica, per Nietzsche, erano la trascendenza e il cristianesimo, Platone e l’idealismo, il moralismo. Ossia l’ossatura spirituale stessa del mondo occidentale, contro cui il filosofo di Zarathustra combatté con tutte le sue forze. Non apparirà superfluo ricordare che Heidegger seguirà Nietzsche sotto tutti gli aspetti.

Il trionfo della ragione

Eppure, appare giusto e legittimo porsi una domanda: in che misura la Grecia interpretata dai filosofi appare fondata in modo congruo? Quanto c’è di eccessivo, di carico, nel modo in cui i grandi filosofi tra Ottocento e Novecento hanno rappresentato i vertici dello spirito greco? Ecco, allora, che ‘scienze empiriche’ come la storiografia e la filologia ci vengono in soccorso.

Certo, un buon grado di enfasi si ritrova anche in grecisti di eccezionale valore come W. Otto e G. Colli. Viceversa, uno studioso di grande levatura come K. Kerényi appare piuttosto centrato, anche sotto questo punto di vista.

Ma se c’è un grecista in grado di reggersi tra filosofia e storiografia, tra enfasi e concretezza, questi è Bruno Snell. Nel suo “La cultura greca e le origini del pensiero europeo” (1948, ed. it. Einaudi), Snell offre una sintesi perfetta tra le molteplici esigenze che l’interpretazione della cultura greca comporta. In primo luogo, ci sono i fatti: il modo in cui i Greci hanno raccontato loro stessi.

Senza enfasi, le parole di Omero, di Esiodo, dei lirici arcaici, dei Presocratici, vengono analizzate, scomposte, sminuzzate, ricomposte, fino a che se ne ricavi un’interpretazione compiuta.

Non solo, ma Snell è anche un buon filosofo. Poiché il passaggio, lo sviluppo che da Omero conduce a Platone, non può non avere caratteri filosofici. Ma questo miracolo – il passaggio che dal mito conduce al logos, la trasformazione che da una mentalità religiosa conduce a una razionale (l’autentica scoperta dei Greci rispetto alle altre culture tradizionali) – viene espresso da Snell senza enfasi.

Con tutto l’ethos di quella sobrietà che, intimamente, lo caratterizza. Poi, certo, qualcosa ci riporta dalle vette dell’idealismo alla concretezza. Si tratta, in questo caso, delle guerre messeniche, combattute da Sparta in nome di ragioni di predominio territoriale. Esse ci fanno tornare alla mente dei versi di Montale su di un mondo “che s’impara sui libri ed era forse / orrendo come il nostro” (E. Montale, “Tutte le poesie”, Mondadori, p. 371).

La successione dei secoli

Il grande libro di Snell si compone di diciassette saggi. Dedicati ai seguenti temi: l’uomo nella concezione di Omero, la fede negli dèi olimpi, il mondo degli dèi in Esiodo, il primo rivelarsi dell’individualità nella lirica greca arcaica, l’inno pindarico a Zeus, mito e realtà nella tragedia greca, Aristofane e l’estetica, sapere umano e sapere divino, le origini della coscienza storica, massime di virtù: un breve capitolo dell’etica greca, similitudine paragone metafora analogia: il passaggio dalla concezione mitica al pensiero logico, la formazione dei concetti scientifici nella lingua greca, il simbolo della via, la scoperta dell’umanità e la nostra posizione di fronte ai Greci, il giocoso in Callimaco, l’Arcadia: scoperta di un paesaggio spirituale, teoria e prassi.

Dunque, Snell segue l’intero sviluppo della cultura greca dalle origini al mondo romano. Si tratta di autori e momenti culturali straordinari: Omero, Esiodo, i lirici dell’età arcaica, i Presocratici – che Colli definì sapienti – i grandi tragici Eschilo, Sofocle, Euripide, il commediografo Aristofane, la nascita della storiografia con Erodoto e Tucidide, i grandi filosofi ateniesi, ossia Socrate, Platone e Aristotele, il pensiero e la poesia dell’età ellenistica, in cui svettano stoicismo ed epicureismo da un lato e Callimaco e Teocrito dall’altro, fino al mondo romano, a Virgilio, Orazio e Ovidio.

In questo sviluppo clamoroso, che non ha forse eguali in Occidente, un singolo fattore deve essere segnalato. Si tratta delle massime inscritte sul frontone del Tempio di Apollo a Delfi. Legate al fenomeno dei Sette Sapienti, su cui Snell ha scritto un altro dei suoi libri decisivi, “I Sette Sapienti” – di cui facevano parte Talete, il primo filosofo dell’Occidente, nonché Solone, il grande legislatore di Atene – sono un passaggio intermedio cruciale sulla strada di quella razionalizzazione e laicizzazione dello spirito greco che conduce da Omero ai Presocratici.

La prima massima dice: “Conosci te stesso”. Secondo un’importante rilievo esegetico di Karl Kerényi – nel fondamentale saggio “La concezione greca dell’uomo” del 1948, che conclude il libro “Miti e misteri” (Bollati Boringhieri) – a questa massima era sottintesa la conclusione: “precisamente che sei uomo”.

La seconda afferma: “Nulla di troppo”. Con una commozione non alterata dai secoli, Plutarco – il grande intellettuale greco di epoca imperiale che scrisse le “Vite parallele” e che, nell’ultima parte della sua vita, fu sacerdote a Delfi – rievoca tutta la gamma di significati delle due massime appena citate, in quegli scritti straordinari che, in italiano, sono intitolati “Dialoghi delfici” (Adelphi).

Ecco, il merito di Snell è proprio questo. Con filologica precisione e saggezza, egli ci restituisce l’accesso ad un mondo che aveva nella misura apollinea la sua cifra più alta. Rispetto a questo senso della misura, il pathos dionisiaco di Nietzsche, di Heidegger, di Colli, di Severino, costituisce l’altro aspetto della medaglia, di quel meraviglioso enigma che per noi rappresenta ancora la cultura greca.

Daniele Lorusso