Valmontone, Mughini che racconta Pasolini: quando la cultura diventa spettacolo emozionante

L’evento si è svolto a Valmontone, Palazzo Doria Pamphili, all’interno di una serie di manifestazioni culturali per l’estate 2022 promosse dal Comune con il contributo della Regione Lazio

Mughini a Palazzo Doria, Mariagloria Fontana, Giampiero Mughini, Matteo Leone

Mughini a Palazzo Doria, Mariagloria Fontana, Giampiero Mughini, Matteo Leone

Quest’anno ricorre il centenario di Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista sceneggiatore, attore e drammaturgo, nato a Bologna il 22 marzo 1922. Molte sono le manifestazioni culturali indette in tutto il Paese per ricordare un intellettuale importante, oltre che per la sua produzione letteraria e cinematografica, anche per le sue posizioni originali e anticonformiste nei confronti dei problemi sociali e culturali nel periodo che va dagli anni ’50 ai ’70.

Mughini a Palazzo Doria, Mariagloria Fontana, Giampiero Mughini, Matteo Leone
Mughini a Palazzo Doria, Mariagloria Fontana, Giampiero Mughini, Matteo Leone

Introspezione delle pulsioni che influenzano la produzione dell’artista Pasolini

Il primo dei 4 relatori protagonisti della rassegna su Pasolini è Giampiero Mughini, sabato scorso 25 giugno. Il titolo della manifestazione organizzata e presentata da Mariagloria Fontana è: Una disperata vitalità. Cento anni di Pasolini, una rassegna culturale per celebrare il centenario dalla nascita di Pasolini, promossa dal Comune con il contributo della Regione Lazio.

Il dialogo è iniziato con una domanda della Fontana a Mughini, concepita sulla base di alcune espressioni di Pasolini contenute in una delle sue prime poesie, il cui titolo era posto nella locandina che pubblicizzava l’evento. Dopo aver dichiarato che un discorso su Pasolini poteva partire da diversi angoli visuali, la Fontana leggeva alcuni versi della poesia Una disperata vitalità, in particolare quelli che dicono:

“La morte non è / nel non poter comunicare, / ma nel non poter più essere compresi”.

L’autore si era ispirato al film Fino all’ultimo respiro (A’ bout de soufflé) di Jean-Luc Godard, come espressamente dichiarato nei primi versi: “Come in un film di Godard: solo in una macchina che corre per le autostrade del Neo-capitalismo latino…”.

Mughini, che ben conosceva la poesia citata, ha confermato che Pasolini iniziò la sua produzione letteraria proprio come poeta.

Giampiero Mughini si è sposato a Milano a quasi 80 anni (portati da dio)

Il primo scandalo

Lo scrittore aveva trascorso parte degli anni dell’infanzia in Veneto, poi a Casarsa della Delizia (Pd) nella casa materna, per cui era vissuto nell’antico mondo contadino del Friuli. Aveva già scritto molte poesie, anche in dialetto friulano, quando, con una tesi molto profonda sulla poesia di Pascoli si laureò nell’Università di Bologna con 110 e lode.

Per le difficoltà causate dalla guerra, nel 1943 si stabilì con la madre a Casarsa. Nel 48/49 ottenne un incarico come insegnante nella scuola media della vicina Valvasone. Allora cominciarono i suoi primi guai con la comunità e con la giustizia.

Egli aveva già manifestato nei suoi scritti la propria omosessualità. Quando un’ inclinazione è forte, dice Mughini, prima o poi deve trovare uno sfogo. Fu così che, durante una festa di paese, Pasolini avvicinò tre dei suoi allievi e offrì loro un compenso in denaro per una prestazione sessuale. L’accaduto fu presto risaputo e fece un grande scandalo; ricordiamo che avveniva alla fine degli anni quaranta, in una società contadina e cattolica.

Ci fu la denuncia delle famiglie dei ragazzi, tutti minorenni (15- 16 anni): l’imputazione era di corruzione di minore e atti osceni in luogo pubblico. La prima cadde perché la madre di Pasolini offrì un risarcimento in denaro alle famiglie. Infine, furono tutti, sia i ragazzi che l’insegnante, condannati per la seconda imputazione.

Di conseguenza lo scrittore fu espulso dalla scuola pubblica e insieme alla madre lasciò il Friuli per venire a Roma; il padre, militare, era sempre assente. Era il 1950.

Gli anni romani. Le conoscenze, la scrittura ed il cinema

I primi anni a Roma furono difficili. La madre di Pasolini, Susanna Colussi, insegnante elementare, fu costretta a fare la cameriera. Dopo un poco, tramite un’amicizia, Pasolini riuscì a trovare un lavoro da insegnante in una scuola privata. Cominciò a frequentare Cinecittà, offrendosi come comparsa. Nel frattempo continuava a scrivere i suoi romanzi.

Quando con Garzanti riuscì a pubblicare (1955) Ragazzi di vita, fu sommerso da critiche non soltanto dal mondo cattolico ma anche dall’intellettualità marxista.

Fu pure espulso dal P.C.I., al quale aveva aderito dopo la barbara uccisione dell’amato fratello Guido, partigiano liberale, da parte di una banda partigiana comunista, composta da italiani e da slavi.

A questo punto Mughini ha commentato di non essere mai riuscito a capire il motivo della decisione di Pasolini di aderire alla sinistra comunista, nonostante il dolore per la barbara uccisione dell’amato fratello; del resto, egli non ne ha mai fatto cenno.

Tornando alla scrittura, Mughini ha dichiarato di essere stato uno dei primi lettori di Ragazzi di vita. Certamente il tema era scabroso e si prestava alle denunce, poiché nel romanzo si parlava della prostituzione maschile e minorile.

Però l’autore aveva inventato un lessico e una sintassi appropriata, usando il romanesco appreso negli ultimi anni dalle sue amicizie, per esempio da Sergio Citti, conosciuto a Cinecittà, che poi diventò uno dei suoi principali collaboratori nell’opera cinematografica.

Ritornando sul tema della vita sregolata dello scrittore, Mughini ha dichiarato di aver avuto tante confidenze da parte di amici fidati. Tutti gli avevano raccontato che Pasolini si tratteneva con loro a conversare fino ad una certa ora di sera, le 9 o le dieci. Poi si allontanava improvvisamente per andare in cerca di ragazzi in luoghi discosti e malfamati, anche pericolosi; tanto che gli amici temevano seriamente di non vederlo più tornare.

La morte violenta e la teoria del complotto

Fu così che infine, partendo dalla Stazione Termini, si allontanò con Pino Pelosi la fatidica notte del 2 novembre 1975. Prima lo portò a cena in una trattoria, poi si recarono al’Idroscalo di Ostia, dove si appartarono in macchina. Dopo un primo atto sessuale, Pelosi, detto la rana, non volendo soddisfare un’ulteriore richiesta di Pasolini, scese dalla macchina infuriato. Poi – secondo la ricostruzione dello stesso Pelosi – si avvicinarono altri tre suoi amici, delinquenti di mezza tacca come lui, che probabilmente volevano impossessarsi del portafogli e dell’auto dello scrittore.

Fu così che lo aggredirono e poi lo investirono con l’auto stessa, passandogli sopra più volte. Il cadavere massacrato fu trovato la mattina dopo da una donna; fu riconosciuto dall’amico Ninetto Davoli.

Mariagloria Fontana, Giampiero Mughini, Luciano Lanna

A questo punto iniziò la lunga teoria dei complotti, con un articolo di Oriana Fallaci su L’Europeo.

La celebre giornalista aveva preso per buona la notizia avuta da un collega, il quale le riferì di una testimonianza sulla presenza di una macchina targata CT (Catania). L’ipotesi era che Pasolini fosse stato ucciso perché a conoscenza di segreti che potevano compromettere alcuni potenti uomini politici dell’epoca. Ci si rifaceva alla sua recente collaborazione con il Corriere della Sera, sul quale aveva pubblicato articoli di denuncia, in particolare: Cos’è questo golpe? Io so. Riferendosi alla cosiddetta strategia della tensione e agli attentati da Piazza Fontana a Brescia, il giornalista affermava di sapere i nomi dei responsabili ma non poteva farli poiché non aveva le prove.

In realtà, come ha detto bene Mughini, egli non sapeva nulla. Si trattava di un mero artificio retorico a sostegno della sua tesi provocatoria.

L’uomo di cultura e le sue provocatorie dichiarazioni controcorrente

Molte volte Pasolini aveva fatto dichiarazioni apertamente controcorrente, “sparate” si direbbe oggi. Una delle più famose resta quella contro gli studenti per la lotta di Valle Giulia, dove la facoltà di Architettura occupata fu sgomberata con la forza dalla polizia, su richiesta del Preside.

Pasolini pubblicò un intervento in forma di poesia, in cui accusava gli studenti di malafede, poiché erano borghesi e figli di papà che, dopo la loro esibita contestazione del sistema vi sarebbero entrati ad occupare le posizioni di potere dei padri. Egli parteggiava invece per i poliziotti, che erano figli di proletari senza alcuna possibilità di progresso sociale. Questa esternazione fece molto scalpore all’epoca dei fatti.

Mughini si dichiara d’accordo con la tesi di Pasolini, perché così si è poi verificato; inoltre, i figli dei borghesi non potevano contestare le loro stesse basi. A questo punto, verso la fine dell’incontro, è stato chiesto al pubblico di intervenire e ho chiesto la parola.

Nel ’68 io frequentavo il quarto anno di liceo scientifico a Colleferro e discutevamo sempre di quel che accadeva all’Università di Roma, ognuno diceva la sua opinione.

Per me Pasolini sbagliava poiché considerava l’espressione politica di un gruppo come derivata deterministicamente dal ceto di appartenenza. Invece è importante la funzione svolta, soprattutto in certi momenti storici. Allora gli studenti universitari, contestando l’autoritarismo e le baronie, svolgevano una funzione progressiva, anzi di rottura. I poveri proletari poliziotti eseguivano gli ordini impartiti dalle loro autorità, soggette alla politica.

Inoltre, nel ’68 all’università c’erano soltanto quegli studenti; ma subito dopo, con la riforma del ’69, anche i figli degli operai ebbero l’accesso allo studio.

Altra cosa è se in seguito molti dei primi contestatori – Mughini ha fatto l’esempio di Giuliano Ferrara – si sono adagiati al Potere o hanno cambiato bandiera.

Conclusione positiva e cordiale dell’incontro

Ovviamente, Giampiero Mughini mi ha replicato elegantemente; siamo rimasti ognuno con la propria convinzione. Personalmente, gli ho ribattuto una cosa che egli ha detto di se stesso, e cioè che, siccome si documenta sempre e non si esprime su cose che non conosce, appare spocchioso.

“Infatti, io lo seguo spesso nei TalkShow, Lei dà questa impressione; ma penso che la sua “spocchia” sia appunto espressione di chi, essendosi documentato bene, pretende di conoscere o almeno possedere una sua visione della realtà”. Mughini non si è affatto offeso, anzi ci siamo salutati cordialmente con gli organizzatori dell’incontro, che si è svolto in modo magnifico.

Aspetto un prossimo appuntamento con Mughini, un incontro con lui non lo dimentichi. E’ la cultura che si fa spettacolo.

Francesco Vergovich, Mariagloria Fontana, Giampiero MUghini, Matteo Leone