Via Poma. Simonetta Cesaroni fu uccisa dal figlio del portiere Vanacore: lo scrivono i Carabinieri
Il figlio di Pietrino Vanacore sarebbe in cima alla lista dei sospettati, all’epoca dei fatti aveva 30 anni
Si torna a parlare del caso di Simonetta Cesaroni, la ragazza uccisa il 7 agosto del 1990 a Roma. Secondo una corposa informativa dei carabinieri consegnata ai magistrati della Procura di Roma, l’autore dell’omicidio sarebbe stato Mario Vanacore, il figlio del portiere del condominio di via Poma.
Per i giudici, però, si tratta di “ipotesi e suggestioni” che “non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato”. Per questo lo scorso 13 dicembre hanno chiesto l’archiviazione del fascicolo aperto due anni fa in seguito a un esposto della famiglia della ragazza uccisa in via Poma l’estate del 1990.
Suicidio di Pietrino Vanacore
Il figlio di Pietrino Vanacore sarebbe in cima alla lista dei sospettati. Il portiere del palazzo che già tre giorni dopo l’omicidio di Simonetta Cesaroni venne prima fermato (passò quasi un mese in carcere) e poi rilasciato. A 20 anni di distanza dall’omicidio, l’uomo si suicidò. Nel 2020, a pochi giorni da una sua deposizione nell’ambito del processo nei confronti dell’ex di Simonetta Cesaroni, Raniero Brusco, si lasciò affogare in un corso d’acqua lasciando una scritta su un cartello: “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”.
Ricostruzione dei fatti secondo i Carabinieri
Secondo quanto ricostruito dai militari – e pubblicato dall’edizione online di Repubblica -, il pomeriggio del 7 agosto del 1990, Mario Vanacore entrò negli uffici di via Poma, dove Cesaroni lavorava da circa due mesi come segretaria. Trovatosi inaspettatamente davanti alla ragazza, l’avrebbe trascinata “nella stanza del direttore” – dove poi venne trovata cadavere – per poi tentare di violentarla, ma la giovane riuscì a colpirlo ferendolo.
A quel punto – scrivono i carabinieri – “l’uomo reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra”. Così si sarebbe arrivati al momento dell’omicidio con “l’uomo che si impossessa dell’arma del delitto e a cavalcioni della ragazza, supina a terra, la colpisce per ventinove volte”.
I genitori mentirono agli inquirenti
A coprire le responsabilità di Mario Vanacore sarebbero stati gli stessi genitori, Pietrino e Giuseppa De Luca, che avrebbero mentito agli investigatori nella fase delle indagini tirando in ballo anche il datore di lavoro di Simonetta Cesaroni, Salvatore Volponi. Circostanza che sarebbe confermata anche dall’attività svolta dalla commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, secondo la quale il portiere “scoprì il cadavere” di Simonetta Cesaroni “ore prima dell’ufficiale ritrovamento del corpo”.
A detta della commissione vi fu una attività “post delictum, intesa ad occultare il fatto omicidiario o quantomeno a differirne la scoperta, oppure persino ad attuare un qualche proposito di spostamento della salma dal luogo in cui fu poi rinvenuta”. (Ansa)
Mario Vanacore respinge l’accusa
A quasi 35 anni da un delitto che avvenne il 7 agosto del 1990, ora emerge una nuova pista. Mario Vanacore all’epoca dei fatti aveva 30 anni, era sposato e aveva una figlia di 2 anni. Oggi ha 64 anni e gestisce una ditta a Torino. Si dice innocente e ha raccontato, in un’intervista al quotidiano “La Stampa”, come si svolse quella giornata rimasta indelebilmente scolpita nella sua memoria. Ma respinge ogni accusa, parla di persecuzione verso la sua famiglia (“Ce l’hanno con noi”) e assicura di “aver visto Simonetta solo da morta“.