Politica

Video spot su Battisti: la propaganda non è di governo, ma di Stato

Vero: il “videoracconto” sull’arrivo di Cesare Battisti in Italia, diffuso sulla sua pagina Facebook dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, è una pacchianata. Ma a essere pacchiano è il video congegnato in forma di spot.

La soddisfazione in sé stessa non lo è. O meglio: non lo sarebbe se le nostre Pubbliche istituzioni fossero davvero così sane e autorevoli come amano rappresentarsi, autoassolvendosi da tutto il marciume che hanno generato, o assecondato, lungo i settant’anni della Repubblica. E su questo torneremo più avanti.

Rimaniamo sulla notizia, per ora. Rimaniamo sull’arresto di questo latitante di lunghissimo corso che finora si era sottratto alla galera grazie a una rete cospicua, e immeritata, di appoggi faziosi. Elargiti da chi, ritenendolo un “compagno” perseguitato dallo Stato borghese, lo ha difeso per partito preso.

Stando alle sentenze che sono passate in giudicato e che lo hanno condannato a due ergastoli, Cesare Battisti, è un criminale comune che si è camuffato da rivoluzionario. Un criminale che pur essendo di famiglia comunista ha cominciato da delinquente ordinario, nel senso che aveva come unica motivazione il proprio tornaconto, e che solo successivamente, in carcere, è entrato in contatto con un detenuto più anziano che predicava la lotta armata.

L’adesione deve essergli sembrata una buona idea. Forse gli permetteva di vedere sé stesso in una luce migliore. Forse, o più probabilmente, lo ha indotto a pensare che ne avrebbe avuto dei vantaggi. Mentre da solo era una nullità con diversi precedenti penali, entrando nei PAC (Proletari Armati per il Comunismo) la sua vicenda personale si andava a intrecciare con quella di un’organizzazione più vasta. Che unitamente alle altre consimili, BR in primis, non si stava solo sforzando di sfuggire alla repressione delle forze dell’ordine, ma si riprometteva di rovesciare lo Stato.

Cesare Battisti: una storia tra molte altre

Detto oggi potrà suonare incredibile – alle orecchie di chi quei tempi non li ha vissuti, o non li ha capiti, o li ha comunque rimossi – eppure l’ipotesi della conquista del potere era davvero all’ordine del giorno. Etichettare tutti come terroristi è servito a screditare in blocco l’intero fenomeno. E a far credere che si trattasse solo di estremisti velleitari che uccidevano o ferivano in preda all’odio, anziché nella prospettiva di una futura insurrezione.

I fatti hanno dimostrato che quella visione era talmente astratta da sconfinare nell’allucinazione: le masse proletarie avevano cominciato ad assaporare i vantaggi del consumismo e non erano più così esasperate. Né dall’indigenza, ormai alle spalle, né dallo sfruttamento padronale, ormai attenuato dalle tutele sindacali.

Ma questo è il senno di poi. All’epoca, il potente armamentario teorico del marxismo-leninismo prospettava l’abbattimento dello Stato capitalista come un esito realistico. Politicamente possibile. Moralmente doveroso. Storicamente persino necessario.

Per chi aveva vent’anni o giù di là era tutt’altro che assurdo innamorarsi di queste idee di palingenesi. Non tutti sparavano solo per un odio belluino. C’era anche chi lo faceva per una passione autentica e a suo modo generosa: essendoci una tirannia da abbattere, ricorrere a metodi violenti appariva inevitabile. Poiché la tirannia era armata, la guerriglia doveva esserlo a sua volta. Se le leggi vigenti sono le leggi della tirannia, la guerriglia deve essere illegale per definizione

Mentre il fiume si gonfiava, la corrente iniziò a trascinare di tutto: infiltrati di varia provenienza e a vari livelli; esaltati che in libertà si sentivano dei novelli Che Guevara, ma che dopo la cattura si trasformavano rapidamente nei più infami delatori; delinquenti riciclati alla Cesare Battisti.

Caso Battisti: i buoni e i cattivi

Venne fuori uno slogan, a un certo punto: “Né con le BR, né con lo Stato”. Ad alcuni sarà magari servito da alibi pilatesco e vigliacco, per non prendere posizione da nessuna delle due parti, ma nella sostanza era tutt’altro che infondato. Perché sintetizzava il fatto che non si poteva ridurre lo scontro in atto alla logica elementare e capziosa dei buoni e dei cattivi.

La logica binaria era sballata. Come d’altronde lo è quasi sempre. Per quanto potessero essere “cattive” le BR, e altre formazioni analoghe, lo Stato non era certamente “buono”. Lo Stato era la DC. Era la partitocrazia. Era la dipendenza dagli USA. Erano i legami ossequiosi e torbidi col Vaticano. Erano gli accordi sottobanco con l’OLP. Era l’appoggio costante alla FIAT. Era l’acquiescenza, per non dire la connivenza, nei confronti della mafia. Era la strategia della tensione che poi verrà scaricata sui servizi “deviati”. Era…

Si potrebbe continuare in lungo e in largo.

Si potrebbe aggiungere una domanda: di che Stato parliamo, quando ne celebriamo la vittoria sul terrorismo?

Se ne potrebbe aggiungere subito una seconda: l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è oppure no in continuità con un suo predecessore come Francesco Cossiga?

Torniamo a Cesare Battisti, adesso. Al di là del video pacchiano messo in circolazione dal ministro della Giustizia, il trionfalismo per il suo arresto è condivisibile per un verso e ingiustificato per l’altro. È condivisibile perché dopo 37 anni di latitanza un evaso pluriomicida è stato finalmente ricondotto in patria e sconterà la pena che gli è stata inflitta. È ingiustificato perché lo Stato italiano è ancora lontanissimo da quella rigenerazione etica che gli consentirebbe di ergersi a custode dei valori costituzionali.

Additare i criminali è legittimo. Usarli per candeggiare l’intera storia nazionale non lo è nemmeno un po’.

Federico Zamboni

Giornalista professionista e molto altro, tra stampa, radio e incontri pubblici. Terreno di caccia preferito: la società occidentale che fa finta di essere libera, democratica, benintenzionata. Nel 2019 ha pubblicato “Loro sono furbi… ma noi possiamo essere intelligenti” (Guida alle tecniche di manipolazione).

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