Politica

Voilà. In Francia i gilet gialli si sono battuti e hanno piegato Macron

E se fosse successo qui in Italia, quello che è successo in Francia? Se un movimento analogo a quello dei gilet gialli avesse fatto all’incirca lo stesso, con al governo non già le forze attuali ma un personaggio simil-Macron alla Matteo Renzi?

Teniamo per un po’ queste domande sullo sfondo. E andiamo invece a ricordare gli esiti della sollevazione francese. Primo: i dimostranti hanno raggiunto alcuni importanti obiettivi pratici, dallo stop alle tasse più alte sul gasolio all’incremento dei salari minimi che saliranno di cento euro e arriveranno perciò a ridosso dei 1300 al mese. Ossia un sogno, nel nostro scombinato Bel Paese dove la precarietà è la prassi, consentita dalle leggi, e sottopagare i dipendenti è una ‘pacifica’ consuetudine, tollerata dalle autorità e accettata per forza di cose da legioni di poveri cristi che pur di guadagnare qualcosa mandano giù il rospo, e magari devono pure dire grazie.

Secondo, ma in chiave politica è il dato di maggior rilievo (anche se poi bisognerà tenere d’occhio gli sviluppi), hanno costretto Macron ad abbassare la cresta. Come si dice, in favore di telecamera. In un monologo televisivo che è durato quasi quindici minuti e che è stato l’equivalente di un messaggio alla nazione. Un messaggio di scuse, di obbligata contrizione, di impegno a tenere molto più conto delle rivendicazioni dei meno abbienti. A costo – udite, udite! – di violare i Santissimi Parametri di Maastricht. Portando il rapporto deficit/Pil oltre la soglia ‘demoniaca’ del 3 %.

Gilet gialli: o ti batti o vieni ignorato

La lezione è evidente. Se non fossero scesi ripetutamente in piazza, infischiandosene dei divieti e usando anche una buona dose di violenza, non se li sarebbe filati nessuno.

Se fossero rimasti buoni buoni a casa propria, ad attendere che Macron prendesse in considerazione le loro istanze, non avrebbero ottenuto un accidente. Né sul piano concreto, né tantomeno in termini di rilevanza socioeconomica. Di riconoscimento, cioè, del fatto che sulla scena ci sono anche loro. E che non li si può relegare sempre al ruolo di comparse. Ossia di masse che sopportano in silenzio i propri disagi e hanno facoltà di parola, di raduno, di espressione, solo se si tratta di osannare il nuovo leader che li guiderà verso le sfide della globalizzazione. Con il sorriso del manager affermato. Con il cinismo del manager che deve produrre risultati e non ha tempo, né voglia, di farsi distogliere dal malcontento di quelle nullità delle persone qualsiasi.

Gilet gialli: cittadini esasperati o pericolosi eversori?

Torniamo alle domande iniziali, adesso.

E se i gilet gialli fossero stati un fenomeno nostrano, con alla presidenza del Consiglio uno qualsiasi tra Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni? Si sarebbe ammesso che, beh, se sono così tanti e così infuriati bisognerà starli ad ascoltare? O viceversa li si sarebbe criminalizzati, come al G8 di Genova nel 2001 o in maniera più subdola, e accusati di un comportamento intollerabile, antidemocratico, addirittura eversivo?

Sono domande tutt’altro che astratte. Negli ultimi anni la posizione tipica dei governi è stata all’insegna del comando a senso unico. Appellandosi di volta in volta alla competizione globale, alla crisi economica del 2008, ai vincoli europei, alla fiducia o alla sfiducia dei mercati, e così via, si è fatto passare ogni sorta di peggioramento come una necessità ineluttabile. Se non addirittura una responsabilità di chi non riusciva a tenere il passo.

Proprio come lo stesso Macron in Francia, che se ne uscì con questa bella frase: ci sono “quelli che hanno successo e quelli che non sono nulla”. A volte, tuttavia, “quelli che non sono nulla” si rammentano che in compenso sono tanti. E che non avendo successo non devono dedicarsi h24 a conservare i privilegi o magari a incrementarli.

Sono poveracci, hanno del tempo libero, sono un tantino arrabbiati. Quanto ai gilet gialli, vedrai che si trovano.

Federico Zamboni

Giornalista professionista e molto altro, tra stampa, radio e incontri pubblici. Terreno di caccia preferito: la società occidentale che fa finta di essere libera, democratica, benintenzionata. Nel 2019 ha pubblicato “Loro sono furbi… ma noi possiamo essere intelligenti” (Guida alle tecniche di manipolazione).

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