Walter Siti racconta “La Voce verticale”, sua antologia di poesie
Nella conversazione che segue, svoltasi telefonicamente, Siti racconta la sua concezione estetica di poesia e bellezza
“Cara vita che mi sei andata perduta, con te avrei fatto faville se solo tu non fosti andata perduta”. Sono gli ultimi versi di una poesia di Amelia Rosselli contenuta ne “La voce verticale. 52 Liriche per un anno” (Rizzoli), un’antologia di 57 poesie (in ultima stesura, l’autore ammette di averne inserite altre cinque) scelte e commentate da Walter Siti, Premio Strega 2013, scrittore, accademico, saggista, critico. La raccolta contiene le poesie che Siti ha selezionato ogni domenica per i lettori di “Repubblica”’. Nella conversazione che segue, svoltasi telefonicamente, Siti racconta la sua concezione estetica di poesia e bellezza.
Che cos’è la voce verticale?
Verticale è un vettore verso l’alto o verso il basso: soprattutto nella poesia lirica (succede anche nella narrativa, ma qui è più caratterizzante) vale l’impressione che il poeta “sia parlato” molto più di quanto non decida lui di parlare. Cioè che si senta il trascrittore appunto di una voce che può provenire dall’alto, da Dio, per chi ci crede, o dall’Assoluto naturale, oppure emergere dall’inconscio, per chi nel Novecento si è avvicinato alle teorie freudiane, comunque qualcosa di cui lui non è perfettamente padrone. Per cui la poesia arriva a dire cose che magari il poeta non sapeva di poter dire. In questo momento storico, in cui la letteratura tende a correre dietro al giornalismo, a essere molto controllata e molto impegnata politicamente, quindi molto legata alla volontà, forse è bene non dimenticarsi che la letteratura spesso gioca i propri effetti sull’ambiguità, sulle contraddizioni, sul dire quello che uno non vorrebbe dire o sul dire cose tra loro contraddittorie.
Quali sono stati i parametri con cui ha selezionato le poesie?
“La voce verticale’’ non ha dei criteri precisi, da antologia tradizionale che esemplifichi un panorama o una tendenza. Ho scelto capricciosamente, affidandomi al gusto personale, alla varietà cronologica e geografica, qualche volta al caso che non è mai del tutto cieco. Volevo mettere a disposizione del lettore, in un momento in cui la poesia è in una strettoia e si leggono solo pochi autori classici, o in cui una novità interessante come il rap conta su ritmi e rime semplificate al massimo, volevo mettere a disposizione, dicevo, un ventaglio di risultati che allargassero i polmoni.
La poesia si occupa solo di temi ‘alti’?
Una delle false idee che si hanno sulla poesia è che questa ci trasporti verso una dimensione di purezza e di sentimentalità, che ci faccia sentire migliori. Così si fa un uso gastronomico della poesia. Invece, nelle 57 liriche che ho presentato si parla di incesto, pedofilia, violenza, rivoluzione, impotenza, anticlericalismo, dissezione di cadaveri. E’ uno scandaglio che può rivelare anche cose terribili di noi e della società in cui viviamo; non è un caso che i poeti, più spesso che i narratori, si suicidino o diventino pazzi. A forza di stare attenti a una voce che viene da altrove si finisce, letteralmente, per “sentire le voci”. Diceva Victor Hugo, paragonando la poesia al lavoro di miniera, “il arrive des accidents, là-bas”.
Che momento storico è questo per la divulgazione della poesia?
Non è un buon momento. La poesia presuppone un ascolto della lingua e delle connessioni semantiche che astrae dalla cronaca e da tutto il rumore che c’è attorno, mentre adesso il rumore si è fatto sempre più forte: tra social network, prepotenza della comunicazione, eliminazione dei tempi morti, lo spazio del silenzio si è ristretto. Invece questo silenzio è una necessità espressiva che confina con lo spirituale. Anche il Papa aprendo questo ultimo Sinodo ha parlato della necessità del silenzio. La poesia lirica degli ultimi due secoli si è presentata come una specie di sacralità laica, o “nera”, che smaschera il falso spiritualismo e tende alla nudità.
Potrebbe essere adottato nelle scuole il suo libro?
Mi piacerebbe che lo fosse, perché scrivendolo ho recuperato il gusto di insegnare, che avevo un po’ perduto negli ultimi anni da professore universitario. Prendere un solo testo e provare a sezionarlo, guardare la metrica, le parole usate, il ritmo, mi sembra un buon esercizio per imparare a distinguere un testo bello da uno brutto. La peggior nemica della poesia è la cattiva poesia. Leggere poesie appartenenti a tradizioni nazionali diverse, e a momenti storici lontanissimi tra loro, può essere un buon antidoto alla noia, e abitua i ragazzi a trovare le costanti in mezzo a molte variabili; il testo originale, almeno per le lingue che i ragazzi conoscono un poco, mostra con l’evidenza di un caso concreto l’idea generale di “intraducibilità della poesia”.
Qual è il compito della letteratura?
Da quasi settantenne, ricordo che negli anni Sessanta e Settanta si discuteva tantissimo di teoria letteraria, si litigava perfino, e ci si poneva una domanda ovvia e importantissima, “che cos’è la letteratura ?”. Ora nessuno se lo chiede più, si dà per scontato che la letteratura sia ciò che la maggioranza considera tale, un dato statistico e stop. La letteratura è per prima cosa un genere di intrattenimento e di consumo, lo è sempre stata; ma io insisto a credere che sia (anche e soprattutto) una forma di conoscenza del tutto peculiare, diversa dalla scienza e dalla storia. Credo che sia una trappola di parole che serve a far emergere contenuti repressi o rimossi dall’individuo e dalla società, e che il divertimento che procura sia una specie di “piacere preliminare” per far digerire verità imbarazzanti o dolorose. Per questo, non può essere ridotta a puro contenuto, come fanno praticamente sempre i media, ma dev’essere compresa e giudicata in base alla sua organizzazione formale, allo stile. Ti chiedono sempre che cosa racconti, ma nessuno più si interessa di come lo fai. Perfino ripetendo lo stesso elenco posso dire cose molto diverse: se scrivo “il signor Giovanni ha sedotto più di mille donne in Spagna” esprimo unicamente condanna, se scrivo “ma in Spagna son già mille e tre, mille e tre” mescolo alla condanna un indubbio senso di ammirazione.
August Strindberg nel Sogno fa dire a uno dei suoi protagonisti che la poesia non è la realtà ma più della realtà, non un sogno ma un sognare da svegli. Per lei cos’è?
Una buona definizione mi sembra ancora quella del settecentesco abate Ceva: “un sogno che si fa in presenza della ragione”. Dando a “sogno” il valore eminentemente tecnico che gli dà la psicanalisi. Non direi che è più della realtà, c’è anzi una invidia, un odio-amore per la realtà: come se la poesia fosse scontenta del mondo e cercasse un altro mondo più coerente.
Negli ultimi anni, specialmente negli U.S.A., il legame tra scrittura di serie televisive e letteratura si fa più stretto: gli autori di House of cards hanno detto di attingere dal teatro di Shakespeare per il personaggio del Presidente che guarda in camera, una sorta di Amleto; la Hbo aveva acquistato Le correzioni di Jonathan Franzen; sempre la Hbo ha prodotto la serie ‘’Bored to death’’ basata su una novella di Jonathan Ames; in Italia Montalbano di Camilleri e Saviano con Gomorra. Considera le serie tv un genere ‘nobile’ ? E che rapporto ha con la tv ?
La serie televisiva è un genere diverso dal film tradizionale; la sua nobiltà o meno dipende (come per la letteratura) dalla coerenza e dalla forza conoscitiva, oltre che ludica, dell’insieme. Certo il ricatto degli ascolti è più forte che per il cinema, che può essere indipendente e a basso costo. Quindi è normale che le serie siano continuamente alla ricerca di stereotipi, spesso letterari; per fare un po’ di archeologia, ricordo Capitol, dove al solito Shakespeare si aggiungeva addirittura la Traviata di Verdi. I riferimenti letterari non sono una patente di nobiltà; al contrario, di solito denunciano la natura eminentemente commerciale dell’operazione. Per quel che riguarda il mio rapporto con la tivù, uso continuamente il telecomando e mi faccio da solo dei programmi che non esistono in natura, misti di politici e cuochi e sperduti in isole deserte e centometristi e Rembrandt e molte altre cose. E’ una riserva di frasi e spunti che nascono e subito muoiono, finendo sprecati; è come andare per strada, dove per evitare il brutto devi fare continui slalom.
I social network e l'intensificarsi di fenomeni come il 'sexting', cioè il dialogare, lo scrivere di sesso a un interlocutore nella chat, eccitandosi onanisticamente da soli, con la singolare caratteristica della mancanza del corpo ‘fisico’, hanno prodotto una società che soffre di abulia sentimentale?
La differenza di potenziale tra desiderante e desiderato, tra maschio e femmina, tra gola e lussuria, tra sesso e turismo, si è abbastanza chiaramente ridotta; questo porta ovviamente a intensità più pallide nella sfera del desiderio. Il contatto virtuale sembra il meccanismo più adeguato per rispecchiare questa minore intensità, ma non escluderei che in futuro, a condizioni sociali mutate, gli utilizzatori di computer possano trovare forme altissime di intensità emotiva che passano dal digitale.
Il tema dell’onestà, una materia quasi scomparsa nella valutazione di un uomo, è stato utilizzato negli ultimi mesi per definire un uomo politico, il sindaco di Roma, Ignazio Marino, inadatto al ruolo, è stato detto dai suoi difensori, addirittura incapace, ma onesto. Che concetto ha dell’onestà Walter Siti?
Non sono un esperto di onestà, mi sono giudicato disonesto per troppo tempo, e forse ho perfino esagerato. Su alcune cose, sorprendentemente, non riesco a vendermi: per esempio, per quel che riguarda il giudizio estetico.
Il caso dell’ambasciatore francese Laurent Stefanini, che l’Eliseo aveva designato a ricoprire il ruolo presso la Santa Sede e che recentemente ha rivelato la sua omosessualità, ha prodotto la rottura dei rapporti tra la Francia e il Vaticano, tanto che la sede rimarrà vacante. Nonostante alcuni segnali di apertura, sembra che nella Chiesa tutto rimanga come sempre.
La Chiesa è un pachiderma che si muove molto lentamente, con improvvisi scossoni che poi devono essere assorbiti. Il problema che ora ha di fronte, e di cui non ha ancora tenuto conto, è il cambiamento nei comportamenti degli omosessuali, in coincidenza con un mutato atteggiamento della società. L’idea tradizionale della Chiesa, dell’omosessualità come di un comportamento “intrinsecamente disordinato”, con conseguente richiesta agli omosessuali di essere perennemente casti, si scontra con le nuove coppie omosex, che si promettono fedeltà e non si sentono “disordinate” per niente. E’ difficile spiegare perché una coppia uomo-donna sia diversa, nella vita di tutti i giorni, da una coppia donna-donna o uomo-uomo, visto che tutte hanno le stesse ipocrisie, le stesse difficoltà, gli stessi inferni e le medesime gioie. L’infecondità non è esclusiva delle coppie omosessuali, e ormai non lo è la precarietà. La Chiesa deve decidere se prendere atto dei cambiamenti, o aspettare (magari saggiamente) che il tempo consolidi queste nuove tendenze. Mi sa che per ora è già tanto se si allontana definitivamente da condanne fondamentaliste (alla Levitico, per intenderci) e adotta il principio di comprensione.
Di Mariagloria Fontana (intervista già pubblicata sulla rivista Micromega, 16 ottobre 2015).